palestine behind the wall

bandiera palestinawe are in the same tear

C’e’ un luogo su questo pianeta dove il sole tramonta alle due del pomeriggio…
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palestine3Il muro. E la sua funzione: definire, arginare, limitare, circoscrivere, rendere insuperabile. Omogeneità e confine, delimitazione e frontiera, appartenenza e separazione, unità e limite, di uno spazio, di un individuo, di una terra, di un popolo, dell’esistenza stessa. E degli elementi che quella esistenza contraddistingue, talvolta né esclusivi, né coerenti. Elementi che configurano in senso culturale un territorio e un destino, che non sono esistiti tutti da sempre, ma si sono accumulati, e a volta contraddetti, nel corso del tempo. E la libertà dell’estensione di ciascuno di essi coincide solo in parte con la libertà degli altri; quali frontiere sfumate e problematiche di un paese, un compromesso tra utopie e realtà, tra tradizione e tradimento, tra disegno e progetto. Rechenu, Eretz, Yisrael, Philistia, Syria Judea, Eretz Ha-Ivrim, Peleset, Syria Palestina, Pəléšeth, Filasteen, nel corso del tempo la Palestina è stata chiamata con nomi diversi fino a definizioni che si richiamano all’immaginario. Tutti nomi che si riferiscono a entità diverse, corrispondenti però allo stesso territorio geografico al quale conferiscono specifiche caratteristiche che stanno più nella mente di chi li usa che nella concreta realtà di questa terra. La Palestina è terra attraversata da numerose frontiere interne, confini, checkpoint, muri, divieti, posti di blocco, territori occupati, spesso poco visibili per chi non vi è stato di persona. Una frammentazione del reale territorio in una miriade di piccoli spazi ognuno con la propria importante, dolorosa , profonda storia. E’ qui, più che in altri casi, che la costruzione mentale può avvenire, non solo ad opera di uomini e donne che quella condizione vivono, ma anche di coloro che dall’esterno ne fanno un punto di riferimento simbolico.
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The wall

pale7.pngGli israeliani ripongono nel muro le speranze di pace in Medio Oriente. I palestinesi lo condannano come espressione di razzismo che impedisce ogni equilibrato sviluppo per i loro territori. La geografia insegna che dove si affermano squilibri economici, si attivano anche tensioni politiche e sociali. Il muro che divide impedisce una libera circolazione di merci e persone, del pensiero democratico ed alimenta per contro il consenso verso le frange dell’estremismo più intransigente. Israele vede nel muro  uno strumento di sicurezza ( “dove abbiamo costruito il muro abbiamo un maggior controllo sul terrorismo ed è diminuito il numero di attentati”) .  In origine il progetto , sostenuto anche dalla sinistra israeliana pacifista che oggi lo condanna,   doveva essere lo strumento per demarcare la frontiera fra Israele e Palestina e passare sulla cosiddetta linea-verde.  Doveva dividere il territorio israeliano da quello dei Territori occupati, creando sicurezza per Israele ma anche sicurezza per i palestinesi, affermando che quella terra oltre il muro è territorio palestinese. Nel corso della realizzazione sono tuttavia cambiate molte cose:  il muro non passa più lungo la frontiera, ma nel profondo del territorio palestinese; ha creato isole palestinesi in territorio israeliano. Come in alcuni villaggi – la cittadina di Qalqilya , per esempio- circondati da ogni lato dal filo spinato , isole dalle quali è difficile entrare ed uscire,  dalle quali si può solo pensare di scappare. Bisogna “vederlo” questo muro, in tutte le sue mostruose dimensioni, bisogna entrarci, per capire che cosa significhi per il popolo della Palestina vivere in quelle condizioni. Il nostro sforzo è quello di contribuire a moltiplicare gli occhi che vedono.
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bandiera palestina
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