La parola greca nóstos – presente nell’Odissea omerica, nei poeti e, con minor frequenza, nei tragici (ad esempio in Eschilo) – viene dal verbo néomai, che vuol dire ritornare, sopratutto a casa propria. Il termine derivato, nóstos, significa, nel greco antico, ritorno e anche viaggio. Ma non bisogna dimenticare che il senso della radice, come ci spiega Pierre Chantraine, rinvia alla nozione di ritorno felice, un ritorno dotato di valore liberatorio e salvifico.
Particolarmente felice, ai fini di festeggiare il decennale del laboratorio Artaud, la scelta di questo termine, la cui area semantica condensa efficacemente il senso di questa esperienza. Vediamo.
Movendosi fuori dal teatro di tradizione, ma anche fuori da ogni comodo e convenzionale adeguamento ai canoni del successo mediatico, il laboratorio Artaud ha sempre e coraggiosamente scelto, come asse strategico del proprio lavoro teatrale, la rappresentazione e la messa in scena dei motivi fondamentali che scandiscono la tragicità e le ferite della condizione umana. Questa scelta avviene attraverso il ripensamento e la rielaborazione della tragedia classica e moderna (sopratutto i tragici greci e Shakespeare). Un solo esempio, forse quello più significativo all’interno di questo percorso interpretativo: l’Antigone, e la sua “crudele” enfatizzazione del contrasto spesso insanabile, oggi come ieri, tra le norme codificate e il diritto naturale, tra le leggi e l’etica. In riferimento alla linea interpretativa del laboratorio Artaud, uso l’aggettivo crudele proprio nel senso che esso aveva nel celebre “teatro della crudeltà” di Antonin Artaud (1896-1948): l’ “écrivain insurgé” – il poeta maledetto, l’autore di teatro, lo scrittore, segregato per molti anni tra le mura di un manicomio – al quale la compagnia teatrale si è costantemente ispirata, lungo tutto il suo decennale percorso.
Ripensamento e rielaborazione, dicevo, della tragedia classica e moderna: fuori da ogni supina e meccanica riproduzione alla lettera dei testi e dei miti costitutivi, il laboratorio Artaud rielabora, con variazioni, innovazioni e contaminazioni, antiche storie e antichi linguaggi, mostrando così la permanenza e gli sviluppi dei nuclei tragici e dei miti costitutivi della cultura occidentale.
Dalle loro pièces, lo spettatore – “testimone-astante” della rappresentazione – esce, come diceva Artaud in riferimento ai suoi stessi lavori teatrali, sconvolto, frastornato, colpito nell’anima e nel corpo: capace, più capace di prima, di ripensare e di problematizzare la propria presenza nel mondo.
MARIO GALZIGNA
docente di Storia del Pensiero Filosofico e Contemporaneo e Filosofia
Università Ca’ Foscari di Venezia
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nòstos dieci anni di ricerca teatrale 1995/2005