rito, mito, archeologia teatrale e tecniche di tradizione della maschera
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“Tutte le creature sono larve e maschere di Dio”
(Martin Lutero)
Il termine maschera, forse derivante dal longobardo “ mascka”, significherebbe per alcuni critici, larva, strega, demonio: rappresentava le anime dei trapassati che, evocati attraverso riti propiziatori, salivano, per auspicare un abbondante raccolto, sulla terra. Fuoco fatuo di un rapporto magico con la vita, seconda pelle finché disabitata, la maschera racconta ai nostri occhi, al viso l’impronta di un’eternità effimera, mortale, lampo di una profondità povera da cui nascono, a volte, i nostri fantasmi.
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Sicuramente agli albori del teatro la maschera aveva un forte valore rituale. Era parte integrante di un teatro, concepito come vero e proprio rito collettivo e, con funzione allora, di purificazione. Secondo Aristotele, tutte le forme di teatro, ma, prevalentemente la tragedia, servivano a rappresentare l’inconscio umano spingendo lo spettatore ad inoltrarsi verso la catarsi. Ovverosia a credere che lui stesso era o era stato colui del quale si rappresentava la vita o la tragedia. Forse la propria maschera. O qualcuno a lui vicino. Compaiono le maschere, nel teatro medioevale, come trasmigrazione delle anime dei morti o raffigurazione degli esseri diabolici. Il termine maschera, forse derivante dal longobardo “mascka”, significherebbe, per alcuni critici, larva, strega, demonio: rappresentava le anime dei trapassati che, evocati attraverso riti propiziatori, salivano, per auspicare un abbondante raccolto, sulla terra . Fuoco fatuo di un rapporto magico con la vita, seconda pelle finché disabitata, la maschera racconta ai nostri occhi, al viso, l’impronta di un’eternità effimera, mortale, lampo di una profondità povera da cui nascono, a volte, i nostri fantasmi. Attraverso l’alchimia di una presenza estranea, di cui avvertiamo la mancanza in un volto strappato al corporeo realismo, la maschera esprime l’inorganico, per raccontarci che l’amore e la morte costituiscono la metafisica dei primi passi dell’uomo e che tutto ciò che resta non sono che illusioni. In questo secolo di false luci troppo pretenziose per ricordarsi delle proprie tenebre, come ultimo testimone, resta e resterà solo la maschera, per rammentare a noi e ai nostri posteri le proprie caverne esistenziali, la nostra umana e teatrale archeologia, l’inevitabile affinità tra il nostro destino e il mito.
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Il progetto Mascka ideato e organizzato nel 2004, in collaborazione con i Fratelli De Marchi di Vicenza, ha presentato una serie di incontri, spettacoli teatrali e laboratori volti all’analisi e allo studio della maschera, dal rito attraverso il mito fino ad arrivare alla tradizione popolare. L’evento, dedicato alla memoria del Prof. Umberto Artioli, docente di Storia del Teatro presso l’Università di Padova, prematuramente scomparso nel luglio del 2004, si è svolto nella suggestiva cornice del bastione Alicorno e ha proposto l’allestimento della mostra permanente “L’IMMAGINARIO POPOLARE”, esposizione di maschere in cuoio create dai fratelli De Marchi; un laboratorio pratico di costruzione della maschera condotto da Girogio De marchi; una visita sonora di presentazione della mostra con commento musicale al pianoforte del M° Matteo Segafreddo; la presentazione di spettacoli teatrali in cui l’utilizzo della maschera esplora le dimensioni rituali e mitiche.
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